Sulle fonti della storia della Sicilia antica

Non facciamo qui memoria delle molte altre fonti, ad esempio quelle archeologiche, quelle relative al clima e all’evoluzione iscritte nella natura e indagabili con mezzi appropriati, quelle legate alle molte forme delle arti visive, e così via. Il nostro tema adesso sono soltanto le fonti il cui mezzo sia la parola nelle sue due forme, orale e scritta. 

 

L’oralità come fonte per lo storico antico
Per quanto riguarda l’oralità, una parte non piccola della storiografia antica è debitrice verso due tipi diversi di fonti orali, cioè verso due forme di oralità che per lo storico, prima che per noi, sono fonti (certo, anche per noi sono fonti, ma scritte e mediate da chi scrive di storia). 
Una è quel che si tramandava da tempi non noti, ma giunte all’orecchio dello scrittore di storia nel (suo) presente, come è il caso dei miti, dei “si racconta”, dei “per tradizione”, e così via. Ad esempio quando Erodoto scrive, a proposito della battaglia di Imera e della morte di Amilcare, che “esiste anche questa versione, raccontata dai Cartaginesi…”, o quando Tucidide parla di cose a noi note “per tradizione”, lo storico sta riferendo qualcosa che ha sentito di persona (o in qualche caso letto), ma chi parla riferisce qualcosa che non sa direttamente, ma riferisce discorsi a sua volta ascoltati, e dunque inverificabili non solo per lo storico, ma anche per chi li riferisce. Qual è il contenuto reale di una narrazione di questo tipo? Quando uno storico ateniese che non è mai stato in Sicilia ascolta la storia di Cocalo e Dedalo e la riferisce narrandola per iscritto ed essa giunge sino a noi, questo ci dice qualcosa di preciso circa la sua epoca in Grecia – ci dice che in un’area di cultura greca, ma diversa dalla Sicilia, si raccontava una determinata storia su Cocalo e Dedalo: ma, di per sé, non ci dice nulla su Cocalo e Dedalo. Per lo storico dei nostri giorni sapere che una determinata storia si raccontava in un certo momento e in un certo spazio del mondo greco (V secolo, Atene) non è cosa secondaria: ci dice cosa nel V secolo si pensava su fatti, certo non più verificabili, avvenuti molti secoli prima, nessuno avrebbe però saputo dire quanti. 
Un numero elevatissimo di narrazioni sono di questo tipo, e spesso collegano il presente (di allora) con il passato (di chi narra), come è il caso dei moltissimi racconti di fondazione o delle radici delle grandi famiglie da un semidio (ad esempio Eracle). L’oralità consente di tramandare per generazioni e generazioni le storie di famiglia, di città, della propria regione, e così via, prima che qualcuno ascolti quella storia, la racconti e la metta  per iscritto. Questa forma di oralità non va sottovalutata nelle sue potenzialità: è vero che passando da persona a persona la storia si modifica, per cui non conosceremo mai i singoli passaggi e slittamenti narrativi, ma le basi delle civiltà antiche sono nate così. La scrittura è venuta dopo, anche molto dopo. Conosciamo bene il maccanismo anche perché ai nostri giorni sta assumendo molta importanza una forma elettronica di oralità, in molte varianti anche per la diversità dei mezzi tecnici di comunicazione (ad esempio la radio e gli smartphone). 
Un secondo tipo di oralità riguarda la testimonianza diretta di chi ha preso parte agli eventi. Lo storico che scrive di storia contemporanea, o di eventi passati anche da decenni, ma i cui testimoni sono ancora viventi, può raccogliere testimonianze parlando con chi sa perché c’era, e sa solo nei limiti in cui c’era o, con limiti crescenti, perché ha a sua volta parlato con chi c’era, o ha sentito racconti di prima mano. Ad esempio, per la storia della Sicilia Tucidide racconta una tale quantità di dettagli relativi all’assedio ateniese a Siracusa che non potrebbe sapere se non avesse parlato con alcuni dei protagonisti. La storiografia, indubbiamente, è un’indagine, nei limiti del possibile di prima mano. 
Per la storia della Sicilia antica gli storici che hanno potuto attingere a questa seconda forma di oralità sono pochi (Erodoto, Tucidide, Polibio, e non sappiamo in che misura lo hanno fatto) e solo per alcune parti della loro opera. Altri hanno certamente potuto, negli stessi limiti, ma non possiamo valutare nulla perché le loro opere non sono giunte fino a noi (soprattutto gli storici siracusani per la parte di storia loro contemporanea sarebbero una testimonianza preziosa, anche se di parte, ad esempio Filisto di Siracusa o, per la sua epoca, Filino di Akragas). Per tutta la storia della Sicilia sino al II secolo compreso non hanno avuto questa possibilità né Diodoro Siculo né Tito Livio né Plutarco, perché sono vissuti dopo. Se si considera che solo pochi anni (su secoli) della storia dell’isola a loro contemporanea sono narrati da Erodoto, Tucidide e Polibio, ne segue che la maggior parte della storia della Sicilia non ci è nota attraverso questa seconda fonte orale. 
C’è poi una terza forma di oralità su cui è opportuno soffermarci, perché fa parte di una modalità di narrazione storica che è tipica dell’antichità, ma non dei nostri tempi. È l’oralità scritta che troviamo un po’ in tutti gli storici che riportano i discorsi dei protagonisti, di norma uomini politici o militari. Si tratta di un vero e proprio genere letterario, che conferisce alla narrazione storica una grande vivacità e consente al lettore una immersione in un tempo e in un luogo che non è il proprio. A volte, come in Tucidide, si tratta di testi letterariamente di altissimo livello, e davvero capaci di restituire una atmosfera e un modo di comunicare che altrimenti non potremmo conoscere. In qualche caso si tratta di trattative riproposte nei loro passaggi, come se si fosse a teatro. Ovviamente è impossibile sapere quanto i discorsi scritti nelle pagine degli storici corrispondano ai discorsi effettivamente pronunciati nelle occasioni indicate – tutta l’oralità scritta dell’antichità nelle opere degli storici ha questa caratteristica, senza essere teatro (la differenza è netta perché nel teatro, o in opere che vi si apparentano come i dialoghi filosofici, la responsabilità è di chi scrive – l’autore di teatro o il filosofo – e non anche di chi parla – il personaggio). 

 

La scrittura come fonte per lo storico antico
Non abbiamo gli scritti dei primi “storici” (il termine è tra virgolette perché gli storici e altri autori antichi li chiamano logografi). Si tratta di un nutrito gruppo di scrittori per lo più di area ionica (la stessa dove ha avuto origine la filosofia e da cui proviene Erodoto) che per primi hanno narrato per iscritto in prosa, e non in poesia, le origini e le storie della loro terra. 
Gli storici sono venuti dopo, Erodoto alla metà del V secolo, Tucidide alla fine dello stesso secolo, e conoscevano o potevano conoscere gli scritti dei logografi. Non possiamo valutare quanto li abbiano usati come fonte, ma è per noi importante sottolineare che anche i primi storici di cui ci sono giunte le opere hanno alle loro spalle altre figure e altri scritti. Che, certo, devono avere letto con sguardo critico. 
Per la storia della Sicilia va poi ricordato che, negli anni tra Erodoto e Tucidide, a Siracusa ha operato Antioco di Siracusa, il primo in assoluto di cui ci sia stato tramandato che abbia scritto una storia della Sicilia. Ce ne dà notizia Diodoro Siculo, che riporta l’incipit della sua opera (ma non c’è certezza se le opere siano una o due, Sikelikà e Perì Italìas): “Antioco, figlio di Senofane, scrisse queste cose sull’Italia, le più attendibili e certe ricavabili dagi antichi racconti”. Anche il primo storico aveva le sue fonti (presumibilmente orali)! È opinione corrente che nel suo Libro VI Tucidide si sia servito proprio del libro di Antioco per la sua ricostruzione della colonizzazione della Sicilia. Doveva essere un autore di cui si leggeva ancora l’opera in antico, perché è citato da vari autori attivi secoli dopo (Strabone, Dionigi di Alicarnasso, Pausania).  
Nel momento in cui Erodoto e poi Tucidide cominciano il proprio lavoro, la scrittura era utilizzata da millenni in aree come l’Egitto, e doveva già esistere una voluminosa documentazione scritta (sulle mura dei templi, su tavolette di argilla, su papiri, negli archivi delle poleis, perché la legislazione era scritta e così gli atti ufficiali) di ogni tipo, trattati di pace compresi. Alle spalle della narrazione dello storico c’è quindi un mondo dal punto di vista della scrittura, e il modo di utilizzare questo mondo è stato messo a punto da chi si è proposto di fare della storiografia una scienza (con criteri, è opportuno ricordarlo, non sovrapponibili a quelli degli storici del nostro tempo). 
Dunque gli storici antichi hanno utilizzato il lavoro degli storici precedenti e una lunga serie di altre fonti scritte, per noi in grandissima parte perdute. Se concentriamo la nostra attenzione sulla storia della Sicilia, limitando la nostra attenzione alla storiografia greca, l’ultima fonte rilevante in ordine di tempo è la Biblioteca storica di Diodoro Siculo. Diodoro ha utilizzato un gran numero di fonti storiografiche precedenti, in qualche caso dichiarando il proprio debito, in molti invece implicitamente. Ora, va sottolineato che senza l’opera di Diodoro non saremmo in grado di conoscere la storia della Sicilia se non con larghi vuoti. Per interi periodi dipendiamo dalle sue sintesi e riprese da altri storiografi precedenti. In particolare per la storia della Sicilia la Biblioteca storica dipende da due fonti per noi perdute, oltre che da altre meno specifiche sull’isola: Filisto di Siracusa e Timeo di Tauromenio. 
Il cuore di quel che sappiamo dalla storiografia antica è qui. Riassumendo per le epoche precedenti: abbiamo pochi passi, ma fondamentali, di Erodoto sull’epoca di Gelone e Ierone, più altre narrazioni episodiche; seguono, in ordine di tempo, l’opera di Antioco di Siracusa, l’ampia trattazione di Tucidide sull’assedio di Siracusa al tempo della Guerra del Peloponneso, associato a una ricostruzione della storia delle fondazioni greche in Sicilia e alla narrazione di alcune altre tradizioni; quanto poi ci rimane dell’opera di Polibio ci restituisce una analitica narrazione dell’epoca della prima guerra punica in cui la Sicilia è protagonista, oltre ad alcune narrazione giunteci allo stato di frammenti. Poi Diodoro Siculo, che riprende Antioco, Filisto, Timeo, e vari altri storici. Incidentalmente ci sono dati storici relativi alla Sicilia in Dionigi di Alicarnasso, storico greco vissuto in età augustea, e nei geografi antichi come i greci Strabone (anch’egli di età augustea) e Pausania (II secolo d.C.), perché la geografia antica è associata a narrazioni di vario tipo. Tutto lì.  
Certo, non è tutto quel che sappiamo da fonti scritte della storia della Sicilia: abbiamo molti testi poetici (quelli di Pindaro forse sono i più importanti ai fini storiografici), testi filosofici (a parte Platone, è soprattutto Aristotele a soffermarsi su molti dettagli della storia della Sicilia), testi scientifici, iscrizioni, e così via. Si tratta di documenti utilissimi per gli storici dei nostri giorni, ma non fanno parte della serie della tradizione storiografica, perché non sono testi storiografici. 
Poi c’è il mondo degli scrittori di lingua latina (la storiografia romana è già entrata nel nostro elenco con Polibio, ma questi scrive in greco per lettori di area e cultura greca). La fonte non storiografica più importante è Cicerone, che conosceva bene la Sicilia, ma non scriveva da storico. I suoi sono riferimenti occasionali al passato (come fonte quindi per noi quei testi lo sono indirettamente) o analiticamente al presente, nelle orazioni contro Verre, ma scritte nell’ottica di un avvocato che conduce un’accusa in tribunale (tutt’altro che una fonte storica, perché dichiaratamente di parte, e relativa ad un’epoca in cui la Sicilia è comunque stabilmente, e da molto tempo, una Provincia romana e non conduce più alcuna politica indipendente). 
La fonte storiografica di prima grandezza è quella di Tito Livio, che tuttavia per la storia della Sicilia dipende dagli stessi storici precedenti da cui dipende Diodoro Siculo. 
Nei secoli successivi alcuni autori si sono occasionalmente occupati della storia della Sicilia (ad esempio Plutarco). Danno, nel loro complesso, elementi che arricchiscono l’immagine che ne abbiamo, ma dipendono comunque dalle stesse fonti. 
Il resto, ed è moltissimo e non sempre in accordo con i testi storiografici, lo forniscono altre fonti, in primo luogo l’archeologia, l’epigrafia e la numismatica, davvero preziose. Ovviamente queste fonti hanno un elemento di casualità: mentre la narrazione storiografica ha una sequenza stabilita dallo scrittore (e la casualità è solo data dallo stato di conservazione, per noi, dei suoi testi), i ritrovamenti archeologici, monete comprese, ed epigrafici dipendono dagli scavi, che sono in larghissima misura incompleti (ma gli           archeologi sono continuamente al lavoro) e da ritrovamenti episodici e in qualche caso del tutto casuali (ad esempio le statue ritrovate in mare – come il Satiro danzante di Mazara del Vallo o il Torso ritrovato nello Stagnone di Marsala). Ma di questo altrove, qui abbiamo solo voluto sottolineare lo stato della tradizione storiografica. 

 

 

Chiudiamo ricordando quanto più volte abbiamo osservato: è esistita un’ottica greco-siceliota, negli scritti però di autori i cui testi sono per noi perduti, come Antioco, Filisto e Timeo, ma nessuna delle opere storiografiche pervenuteci ha una simile ottica, neppure quella di Diodoro Siculo (e di Antioco e Filisto sappiamo troppo poco per valutare). Inoltre non abbiamo alcuna ricostruzione narrativa di nessuno dei popoli di origine non greca, che tuttavia sono stati fino all’epoca romana protagonisti della storia dell’isola al pari dei Greci sicelioti e in continua interazione con loro. 
Ricordiamo che una sintesi chiara della storiografia greca nel suo complesso è nel volume a cura di Marco Bettalli, Introduzione alla storiografia greca, mentre ovviamente la bibliografia sui singoli storici maggiori è sterminata. 
In un’opera collettiva (Storia della Sicilia, 1978) Graziano Arrighetti ha proposto questa valutazione: “La storiografia siciliana non ebbe mai il carattere di una storiografia locale, ma gli autori che in essa operarono ebbero sempre presenti i legami e i rapporti che legavano l’isola, con la sua cultura e le sue vicende politiche, al resto dell’Italia di civiltà greca, se non addirittura a tutto l’Occidente ellenizzato”.
Abbiamo provato ad elencare le fonti antiche distinguendole a seconda dell’ottica in cui si è posto lo storiografo e del tema del suo scritto. Ne è venuta fuori un elenco che, per comodità di consultazione, riportiamo qui di seguito. 

 

 

Storie della Sicilia, scritte da storici greco-sicelioti 
– Antioco di Siracusa, Sikelikà (metà V secolo, storico greco-siceliota attivo a Siracusa): l’opera non è giunta sino a noi
– Filisto di Siracusa, Sikelikà (prima metà IV secolo, storico greco-siceliota attivo a Siracusa): l’opera non è giunta sino a noi
– Timeo di Tauromenio, Historìai, (IV-III secolo, storico greco-siceliota attivo ad Atene): l’opera non è giunta sino a noi
– Callia di Siracusa, Ta perì Agathoclea, (IV-III secolo, storico greco-siceliota attivo a Siracusa): l’opera non è giunta sino a noi
– Filino di Akragas (III secolo, storico greco-siceliota attivo ad Akragas, autore di una storia della prima guerra punica, di cui fu testimone diretto, favorevole ai Cartaginesi): l’opera non è giunta sino a noi, ma è stata utilizzata come fonte da Polibio e Diodoro Siculo

 

 

Storie del mondo ellenico in cui la Sicilia è coinvolta, scritte da storici greci
– Erodoto di Alicarnasso, Historìai (V secolo, storico greco attivo in Grecia e in Italia, a Turi): l’opera è giunta sino a noi 
– Tucidide di Atene, Historìai (V secolo, storico greco attivo in Grecia): l’opera è giunta sino a noi
– Eforo di Cuma, Historìai (IV secolo, storico greco attivo in Grecia): l’opera non è giunta sino a noi
– Teopompo di Chio, Elleniche, (IV secolo, storico greco attivo in Grecia): l’opera non è giunta sino a noi 
Storie di Roma in cui la Sicilia è coinvolta, scritte da storici greci e romani  
– Quinto Fabio Pittore, Romaion praxeis – Rerum gestarum libri (III-II secolo, politico e storico romano attivo a Roma): l’opera non è giunta sino a noi 
– Polibio di Megalopoli, Historìai, (II secolo, attivo in Grecia, poi a Roma): l’opera è giunta sino a noi in parte integra, in parte per frammenti 
– Posidonio di Apamea, Ta metà Polybion (II-I secolo, filosofo e storico greco attivo in Grecia e a Roma): l’opera non è giunta sino a noi
– Tito Livio, Ab urbe condita, (seconda metà I secolo A.C. – prima metà I secolo d.C., storico romano attivo a Roma): l’opera è giunta sino a noi in parte integra, in parte per frammenti 

 

Storie universali in cui è trattata anche la storia della Sicilia, scritte da storici greci
– Diodoro Siculo, Bibliotèke historikè (I secolo, storico greco attivo in Sicilia ad Agira): l’opera è giunta sino a noi in parte integra, in parte per frammenti 
– Pompeo Trogo, Historiae Philippicae (età augustea, storico romano attivo a Roma): l’opera è giunta a noi solo attraverso una epitome di Marco Giuniano Giustino (II-III secolo d.C.)

 

Opere geografiche in cui si parla anche della Sicilia, scritte da geografi greci e romani
– Strabone di Amasea, Geographikà (I secolo d.C., storico e geografo greco attivo a Roma e in Grecia): l’opera è giunta sino a noi in parte integra, in parte per frammenti 
– Pausania il Periegeta, Helládos perieghesis (II secolo d.C., storico e geografo greco attivo in Grecia): l’opera è giunta sino a noi

 

Scritti non storici in cui è descritta la Sicilia, opere di scrittori romani
– Marco Tullio Cicerone, In Verrem actio prima, In Verrem actio secunda I-V (I secolo, avvocato e politico romano attivo a Roma): l’opera è giunta sino a noi

 

Opere greche e romane che incidentalmente trattano di temi legati alla Sicilia
Sono molte e appartenenti ai più diversi generi letterari. Citiamo quindi soltanto le più importanti: Teogonia di Esiodo, Epinici di Pindaro, frammenti di Ellanico di Lesbo, VII lettera di Platone, Politica, Retorica e altre opere di Aristotele, Argonautiche di Apollonio Rodio, De rerum natura di Lucrezio, Metamorfosi di Ovidio, Eneide di Virgilio, Vite parallele di Plutarco, Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro, Antichità romane di Dionisio di Aliarnasso, I Saturnali di Macrobio, e così via.